Lavoro e Politica

Democrazia, un’occasione persa

Scritto da Gianni Benevole

Recentemente la Corte Costituzionale ha posto il veto sull’ammissibilità del quesito referendario sull’art. 18 e sul jobs act, quest’ultimo voluto dal PD, dal governatore Renzi e dal ministro Poletti. E’ prevalso l’orientamento per il no. La differenza tra i due schieramenti, tuttavia, è stata minima. Fonti ufficiali dicono 7 a 6 per il no, altre 8 a 5. Tra i voti favorevoli all’ammissibilità del referendum, quello del presidente della Corte Costituzionale. Il fronte (politico) del no che ha prevalso, era guidato dall’ex presidente del consiglio Giuliano Amato. Il referendum è stato dichiarato inammissibile e l’interessante confronto su licenziamenti e lavoro in genere è stato fatto abortire sul nascere. Un tema, questo, che avrebbe giustificato i costi della competizione referendaria, perché utile a dare voce al cittadino su argomenti primari, rispetto ai quali ci si trova costantemente esclusi da ogni confronto (vedi legge Fornero e Jobs Act).

Sono certo che, ove ammesso, il referendum avrebbe portato alle urne un’altissima percentuale di aventi diritto al voto e avrebbe reso protagonisti anche coloro che solitamente si astengono in occasione delle competizioni elettorali. Nonostante la sua brevità, l’iter referendario ha comunque consentito di trarre alcune significative indicazioni. Il referendum bocciato dalla Corte Costituzionale è stato promosso dalla CGIL, che ha anche organizzato i tavoli per la raccolta firme. Personalmente, da cittadino indipendente, ho sostenuto il referendum, nel mio piccolo l’ho promosso e l’ho sottoscritto. Nonostante il mio essere critico verso una parte del mondo sindacale, devo riconoscere il grande merito alla CGIL per averci provato. Nessun altro sindacato ha fatto sentire la propria voce a sostegno del referendum, è prevalso il silenzio assoluto. Non un dibattito, non un’iniziativa a sostegno della raccolta firme, non una manifestazione. Un esponente sindacale ha addirittura definito l’iniziativa “gazzosa” e inutile, impartendo, a livello locale, il diktat ai propri iscritti e delegati di non andare a firmare, nel rispetto di una linea dettata dall’alto: “ non si possono sostenere iniziative di altre sigle sindacali ”, questa l’argomentazione. Massimo rispetto per ogni posizione ma, a mio avviso, su diritti e tutele non dovrebbero esserci divisioni, specie sul fronte sindacale. L’idea del sindacato unico o unitario proposta dall’ex premier non è cosi sbagliata. Conflitti di campanile, gelosie e divisioni, ancora una volta, hanno relegato ai margini i tanti cittadini e i tantissimi lavoratori. Discorso analogo per esponenti e partiti politici che solo in occasione delle tornate elettorali sono soliti rievocare il lavoro come cavallo di battaglia per ottenere consensi. Nessuno dei partiti della coalizione al governo della Regione Sardegna, ma neanche i partiti all’opposizione, ha ritenuto di dover dedicare la seppur minima attenzione all’argomento del referendum e del lavoro. Eppure la Sardegna, avendo delle peculiarità che la distinguono dal resto del paese, dovrebbe preoccuparsi non solo di mettere in campo valide strategie pluriennali per creare nuova occupazione, come da anni fanno le Province Autonome di Bolzano e di Trento, ma dovrebbe anche  preoccuparsi di difendere la residua occupazione esistente rispetto alle politiche ricattatorie di chi, sul nostro territorio, pensa unicamente ad incrementare profitti con tagli indiscriminati le cui conseguenze vengono fatte gravare sulla pubblica fiscalità. Silenzio e indifferenza assoluta, totale appiattimento rispetto alle linee dell’esecutivo e del ministro del lavoro Poletti che, nel frattempo, si lasciava andare a commenti fuori luogo sugli Italiani costretti ad andare  lavorare all’estero. In compenso nel sito della Regione, viene dato grande risalto all’incontro di alcuni giorni fa, a Roma, tra l’assessore regionale al lavoro e il ministro del lavoro Poletti (incontrastato padre del Jobs Act) per la proroga della convenzione sull’attività di 50 lavoratori socialmente utili nel 2017. Bene per queste persone, ovviamente, unico dato positivo, in totale assenza di alternative. E’ evidente che ormai ci si accontenti sempre più dell’ordinaria amministrazione e ci si limiti a non contraddire le politiche del governo, per avere così pieno titolo nel recarsi a Roma col cappello in mano.

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Info Autore

Gianni Benevole

Gianni Benevole, abilitato al patrocinio davanti alla Corte di Cassazione. Ho iniziato la mia formazione come avvocato civilista, da oltre quindici anni opero prevalentemente anche nel settore del diritto del lavoro.

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