Lavoro e Politica

DAL PASSATO LEZIONI SEMPRE ATTUALI, NEL RICORDO DELL’ON.LE NINO CARRUS

Scritto da Gianni Benevole

A causa dell’emergenza sanitaria Sars-Covid 19 i temi del lavoro si sono fossilizzati per lungo tempo su sterili discussioni sul c.d. blocco dei licenziamenti e sulla cassa integrazione. Niente altro, salvo riproporre la discussione sul “salario minimo”.

Numerose imprese, nel corso di questi anni, hanno fatto registrare importanti incrementi di fatturato ai quali, tuttavia, non ha fatto seguito un miglioramento delle condizioni dei lavoratori. Al contrario si continua a parlare di esuberi, di esodi incentivati e si escogita ogni espediente per eliminare la manodopera più costosa, quella con la maggiore anzianità di servizio e dunque considerata non più produttiva. Il tutto con enormi costi e gravi conseguenze per i lavoratori e per la pubblica fiscalità. Precarietà, retribuzione spesso ai limiti della soglia di povertà ed in spregio ai principii costituzionali sanciti dall’art. 36 sono mali ormai strutturali.

Altre aziende aziende non hanno smentito il loro solito modus operandi e, per aggirare la legge sul blocco dei licenziamenti, hanno fatto ricorso a trasferimenti pretestuosi o a procedimenti disciplinari a danno dei soggetti più fragili o con figli, per ottenere, sotto ricatto, le loro dimissioni o una risoluzione “incentivata” del rapporto di lavoro.

Le aziende virtuose che nel difficile contesto hanno operato e operano correttamente sono poche, a queste dev’essere riconosciuto grandissimo merito, per la serietà, la solidarietà e l’onesta mostrata, soprattutto nel periodo dell’emergenza sanitaria.

Di recente la mia attenzione è stata catturata da una raccolta contenente gli interventi di alcuni onorevoli in Consiglio Regionale risalenti agli 70. In particolare mi ha colpito una discussione del 28 aprile 1971, riguardante l’approvazione della cd “ legge regionale a tutela dei lavoratori” e dunque inerente la questione sul riparto di competenze nella materia del diritto del lavoro tra lo Stato Italiano e la Regione Autonoma della Sardegna.

Il governo italiano di allora, composto da DC, PSI, PSDI, PRI, presieduto dall’On.le della Democrazia Cristiana  Emilio Colombo, aveva contestato che tale potere normativo sui temi del lavoro spettasse al Consiglio Regionale della Sardegna e aveva bocciato la “ legge regionale a tutela dei lavoratori “, sostenuta da alcuni consiglieri regionali sardi della Democrazia Cristiana e in particolare dal principale promotore l’On.le Nino Carrus.

La questione del riparto di competenze sul tema del lavoro tra Regione Autonoma della Sardegna e Stato Italiano è giuridicamente complessa e difficile da argomentare a sostegno e in favore della prima. Questo aspetto conferisce maggiore spessore all’intervento di quegli onorevoli e particolare rilievo al ruolo dagli stessi assunto in Consiglio Regionale nel sostenere con forza l’intera classe operaia sarda, fatta destinataria di ritorsioni e di minacce conseguite alle legittime rivendicazioni sul salario, sulle condizioni di lavoro e sul diritto di sciopero.

La “ legge regionale a tutela dei lavoratori “ del 22 ottobre del 1970, concerneva l’istituzione di un “ Fondo di solidarietà ” da parte della Regione Sardegna, a favore di quei lavoratori che versavano in condizioni di difficoltà economica, poiché privati dal datore di lavoro della retribuzione in modo ritorsivo, per aver esercitato il diritto di sciopero. Sul tema lo scontro in Consiglio Regionale era particolarmente duro e animato.

Questo disegno di legge era stato presentato nel periodo del c.d. autunno caldo del 1969, caratterizzato da numerose lotte sindacali dei lavoratori che il “padronato” tentava di contrastare privandoli del “salario”. Col termine “padronato” (utilizzato nei loro interventi in Consiglio Regionale dai politici sardi di allora) si intendeva far riferimento ad alcune “aziende del continente ”, così le definivano, che – grazie alle risorse pubbliche (400 miliardi di lire) stanziate attraverso il Piano di Rinascita per l’industrializzazione della Sardegna – si erano insediate nell’Isola.

Nella sostanza, rivendicazioni salariali e scioperi non erano ammessi da quelle aziende e i lavoratori che vi partecipavano o pretendevano di far valere i loro diritti, venivano puniti con il blocco della retribuzione.

La privazione della retribuzione era uno dei tanti strumenti di ritorsione adottati da quella che i politici di allora definivano “resistenza padronale”. Strumento che più di altri era idoneo a “fiaccare la lotta “.

Il salario era infatti necessario, in quanto, nella maggior parte dei casi, costituiva l’unica fonte di sostentamento della famiglia, per questo lo si definiva “salario familiare”, così da rendere ancora più pregnante il senso della legge regionale che si intendeva approvare per superare l’evidente sbilanciamento di posizioni, attraverso l’istituzione di un fondo di solidarietà che consentisse ai lavoratori in lotta di beneficiare di un sussidio pubblico, in risposta ai “ricatti padronali”, come venivano definiti dagli esponenti politici del tempo.

Nella sostanza, la privazione della retribuzione, conseguita in modo punitivo alla partecipazione alle lotte sindacali, doveva essere compensata dal riconoscimento per il lavoratore di un indennizzo pubblico, finanziato attraverso un fondo regionale. Questo era il fine della legge regionale che si voleva approvare,  oggetto di un acceso dibattito locale e di un forte scontro col governo nazionale.

Il disegno di legge era stato discusso in Consiglio Regionale e sostenuto con determinazione, per la sua approvazione, dall’On.le Democristiano Nino Carrus, nonostante numerosi esponenti del suo stesso partito avessero votato in senso contrario.

Il testo era stato respinto e rinviato dal governo nazionale di allora che contestava e non riconosceva la potestà legislativa della Regione nella materia del lavoro.

Nel sostenere questa legge e la competenza della Regione Autonoma della Sardegna nella materia del lavoro, l’On.le Nino Carrus, nelle accese sedute del Consiglio Regionale, ha richiamato le disposizioni della nostra Costituzione, l’articolo 3 sul principio di uguaglianza, l’art. 40 sul diritto di sciopero e l’art. 38 sul diritto al mantenimento e all’assistenza dei soggetti inabili. Ancora ha menzionato le norme dello Statuto dei Lavoratori, appena approvato con la legge n. 300 del 1970, che, così si legge nel suo discorso, agli artt. 15 e 16, “ vieta al padrone di adottare trattamenti economici discriminatori”.

Nelle loro accorate discussioni gli esponenti politici di allora sottolineavano il seguente principio: “ Il padrone non può dare premi anti-sciopero o punire il lavoratore che vuole far valere i propri diritti, privandolo del salario”. Su queste basi, a fondamento della competenza della Regione nella materia del lavoro, gli Onorevoli più attenti e sensibili affermavano come: “Il Consiglio Regionale dovesse necessariamente esercitare il proprio diritto di legiferare a tutela dei lavoratori sardi,  per contrastare la vasta gamma di strumenti padronali tesi a scoraggiare la lotta sindacale”.

È forte il senso delle parole di un Consigliere regionale del P.C.I. che, nel corso di un suo lungo intervento in aula, durante il dibattito, ha affermato: “Padroni, decisi a disattendere la parola data pur di conservare una pressione coloniale e fascista nei confronti dei lavoratori, non hanno diritto di cittadinanza in Sardegna e l’esecutivo regionale ha il dovere di intervenire pesantemente non solo per i miliardi che questi datori di lavoro hanno ricevuto dalla regione a fondo perduto o con mutui a tasso agevolato”, ma anche “ per ripristinare i diritti di libertà dei lavoratori sardi e aiutare il processo di formazione e di crescita di questa giovane classe operaia”.

Ancora, nell’aula del Consiglio Regionale, trovavano spazio e avevano voce interventi come questo: “Autonomia non è solo affermazione di principio; autonomia è anche la difesa dei lavoratori all’interno dei complessi e dei gruppi industriali che sono calati in Sardegna per avere – sbagliando di grosso – lavoratori remissivi.  Noi dobbiamo imporre scelte che tornino a vantaggio del Popolo Sardo e della Sardegna”!!

L’On.le Democristiano Nino Carrus, uno dei principali e più autorevoli esponenti politici di quegli anni, richiamava la nozione di “ sovrappiù ” e il concetto “ plus-lavoro ”; affermava inoltre che il principale obiettivo del Piano di Rinascita e della programmazione economica di allora fosse quello quello di: “Evitare che la forza lavoro avesse un prezzo subordinato alla logica della remunerazione del capitale, sottolineando un concetto del lavoro positivo, in quanto strumento universale di realizzazione della persona umana e non merce dominata dalla logica di retribuzione del capitale, facile oggetto di sfruttamento“.

Negli interventi degli esponenti politici del tempo e dell’On.le Carrus in particolare, è chiara l’ispirazione ai principi e alle posizioni maturate da Gramsci (vedasi lo scritto ” Omaggio a Gramsci” del 1991) sui temi del lavoro nel corso dell’esperienza torinese, caratterizzata da forti tensioni e conflitti, ma sempre incentrate sulla primaria esigenza di perseguire:

la liberazione dell’uomo,  inteso non nella sua individualità ma appunto come valore universale”.

Nell’affrontare il tema della politica economica di Rinascita della Sardegna, chiude la sua riflessione affermando che ” L’unico terreno fertile per un dialogo, se non si vuole correre il rischio di una evasione dalla realtà o di uno sterile esercizio culturale, è quello che può trovare un riferimento al <lavoro umano > alla sua natura e alla sua funzione in una società in una società che si vuole sforzare di essere umana “.

A distanza di 50 anni, i contenuti degli interventi degli Onorevoli di allora sono più che mai attuali e dovrebbero essere studiati e ricordati per orientare tutti coloro che non hanno saputo creare il minimo dibattito, tantomeno critico, sui temi del lavoro e nei confronti di chi, in quest’ultimo decennio, ha svilito e mercificato il lavoro, permettendo l’erosione di diritti e di tutele attraverso riforme inutili, pagate a caro prezzo dai lavoratori, rispetto alle quali la classe politica e sindacale sarda si è mostrata indifferente e assente, nonostante siano state tante e siano ancora oggi numerose le aziende – non solo multinazionali ma, aimè, soprattutto sarde – che hanno adottato e che ancora continuano ad adottare condotte ricattatorie, come quelle censurate con forza, negli anni 70, in Consiglio Regionale dagli Onorevoli di allora e in particolare dall’On.le Nino Carrus, ultimo esponente sopraffino e di spessore di una classe politica particolarmente attenta e realmente interessata ai temi del lavoro, contrariamente a quanto, invece, accade oggi ed è accaduto anche nel recente passato, caratterizzato dalle innumerevoli occasioni perse, dal totale silenzio e dalla rassegnazione.

Cagliari 2 luglio 2022  Gianni Benevole

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Info Autore

Gianni Benevole

Gianni Benevole, abilitato al patrocinio davanti alla Corte di Cassazione. Ho iniziato la mia formazione come avvocato civilista, da oltre quindici anni opero prevalentemente anche nel settore del diritto del lavoro.

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